Giacomo Ghielmi, Direttore Generale di Fondation Assistance International (FAI), discute l’importanza della lotta al tracoma e del ruolo cruciale dell’accesso all’acqua pulita e ai servizi igienici per realizzare il cambiamento nella vita di migliaia di persone.

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- Perché FAI ha deciso di sostenere CBM nella lotta al tracoma?
«È sicuramente una priorità per noi. È un passo impegnativo sì, ma non è un traguardo impossibile da raggiungere. Per questo abbiamo il dovere morale e l’urgenza di debellare il tracoma quanto prima.
In più va considerato il fatto che per sconfiggere il tracoma uno dei punti fondamentali è garantire l’approvvigionamento a fonti di acqua pulita. Da questa attività si generano molti altri benefici a cascata. Intendo dire che non si hanno benefici solo legati alla vista.
L’accesso all’acqua potabile è uno dei diritti umani più importanti. Ad esempio garantisce ai bambini una maggiore partecipazione scolastica perché riduce i casi di dissenteria. Permette alle donne di affrontare meglio le piccole problematiche quotidiane.
Progetti come questo sono quindi interventi che hanno un impatto molto ampio a livello ambientale a livello sociale, quindi, dal mio punto di vista, sono interventi prioritari per la cooperazione internazionale allo sviluppo».
- Il progetto di CBM da voi sostenuto interviene nella regione etiope dell’Amhara dove c’è un conflitto in corso. Questo contesto rende complesso l’intervento delle Organizzazioni e delle Agenzie umanitarie. Cosa pensate della situazione e di come CBM è riuscita ad andare avanti? Cosa si potrebbe migliorare?
«Siamo preoccupati per la situazione, per le persone che sono costrette a vivere nella regione e subiscono le conseguenze del conflitto. In un contesto di questo tipo, il progetto deve subire delle modifiche e anche delle interruzioni. Dal mio punto di vista la capacità dell’organizzazione di dare una risposta flessibile in base al contesto, che di fatto è mutevole, è importante.
Un conflitto armato può rendere un contesto fragile. La capacità dell’organizzazione di adattarsi è fondamentale. Dal mio punto di vista è una virtù il fatto di poter modificare le attività progettuali adattandole al contesto che cambia. Personalmente sono soddisfatto di come è stato adattato, di come abbia potuto continuare nonostante le difficoltà.
È stata modificata la regione di intervento, ma non è stato comunque tempo perso. Tutto ciò che è stato fatto, era necessario comunque. Purtroppo molto spesso mi capita di vedere delle organizzazioni che non cambiano nulla di quello che hanno previsto inizialmente pur di attenersi ai documenti. Quella è la minaccia reale! Questa per me è una criticità. Per fortuna non è il nostro caso, non è il caso di CBM».
Scopri di più sul progetto- Il tracoma è ancora un problema di salute pubblica in 38 Paesi, tra cui l’Etiopia. Anche se il numero è in calo, c’è ancora molto da fare dunque. Secondo lei su cosa si deve investire per debellare la malattia?
«Di formazione sono geologo quindi la mia posizione è inevitabilmente influenzata dal mio passato professionale. Bisogna lavorare ancora di più sull’accesso all’acqua pulita, sul rafforzamento dei sistemi igienici e in generale sulla componente WASH, che appunto incide, come accennavo prima, su una miriade di altri fattori. È fondamentale: dall’istruzione alla salute, alla sicurezza alimentare. Insomma, è uno di quei servizi di base che genera per conseguenza a catena altri benefici e impatti positivi. Quindi dal mio punto di vista direi che bisogna ritornare a discutere di questo a fondo.
Un altro aspetto fondamentale è la questione della sostenibilità nel senso della durata che questi interventi hanno nel tempo e che rimane una sfida nel settore WASH. Oggi la parola “sostenibilità” ha ormai assunto un significato legato quasi esclusivamente all’ambiente o al cambiamento climatico. Aspetti certamente importanti. Ma preferisco utilizzare la parola “durabilità” (dal francese durabilité) che richiama con forza anche il significato di “capacità di durare nel tempo”.
Ecco, dal mio punto di vista, bisogna ritornare a discutere della capacità di garantire sostenibilità e quindi capacità di durare nel tempo agli interventi. Ad esempio, sempre in ambito WASH, in Africa il 50% delle opere idriche cessano di funzionare nei primi due anni di utilizzo, per questioni tecniche, economiche o sociali.
Bisogna tornare a lavorare su questo e incidere maggiormente nel lungo periodo con un coordinamento più sinergico tra gli attori della cooperazione internazionale con una road map comune».