Oggi pubblichiamo la lettera di Giulio Erba e il commento di Marina Sozzi, filosofa e tanatologa.

preview risposta a Giulio

È possibile prepararsi alla morte? Se sì, tu come lo fai?

Io, almeno per ora, non ho paura della morte fisica, perché, essendo credente, penso che essa sia solo un passaggio (duro e impegnativo, se impreparati) da una vita materiale ad una eterna e felice (se ce la meritiamo e come nostro signore ce la dà in dono). Però per averla questa splendida nuova vita eterna celeste della nuova Gerusalemme dobbiamo prepararcela già qui, in questa vita terrena, in 3 modi d’agire:

  1. Agire sempre onestamente
  2. Fare sempre del bene a tutti i fratelli bisognosi, poveri o comunque in difficoltà
  3. Amare sempre tutti, anche chi ci odia, perché è bello ma difficile amare il prossimo come se stessi.

Ecco se veramente riusciamo a vivere e agire così penso che saremo preparati alla nostra morte corporale, che non ci coglierà nella paura e nel terrore di lasciare questo mondo. Così penso dobbiamo considerare la nostra morte.

Giulio Erba (Como), donatore di CBM Italia

Il commento di Marina Sozzi alla lettera di Giulio

Gentile Giulio, innanzitutto grazie per la sua lettera.

Il suo pensiero è interessante, perché richiama un aspetto fondamentale della nostra riflessione sulla morte: l’intreccio profondo che lega la buona vita e la buona morte. Erasmo da Rotterdam, ma anche uomini di chiesa come il cardinale Bellarmino, hanno affermato che non esiste buona morte senza una buona vita. Per questo diversi autori dell’Umanesimo e del Rinascimento scrissero le cosiddette artes moriendi, che erano veri e propri manuali su come prepararsi alla propria fine. Erasmo, ad esempio, ritiene che l’uomo debba accostarsi alla morte non solo guardando alle Sacre Scritture, ma anche attribuendo la massima importanza alla relazione con gli altri uomini, soprattutto con coloro che condividono la fede in Cristo. Non si tratta quindi solo di soffermarsi sugli ultimi istanti della vita, quanto di dare un senso profondo alla vita stessa, nel suo complesso.

Mi sembra che il suo pensiero si situi su questa linea di riflessione. E, in tempi più vicini a noi, un teologo cattolico del dissenso, Hans Küng, ha affermato che la buona morte è da un lato un dono, dall’altro un compito. L’idea del dono può essere intesa in modo sia religioso sia laico (una patologia che non procura molta sofferenza è un “dono”), e l’idea del compito si riferisce invece a quanto possiamo fare noi. Ad esempio, la buona morte dipende anche da come abbiamo affrontato la domanda sulla morte nel corso della nostra vita.

E certamente, come lei sostiene, essere in pace con se stessi è un elemento cruciale di questo “compito”.

Grazie ancora, un caro saluto

Marina

Perché la rubrica “Questioni di vita e di morte”?

Perché pensiamo che una maggiore consapevolezza della finitezza possa, anziché angosciarci, migliorare la qualità della nostra vita.  Riflettere sulla fine della vita ci induce a riordinare le priorità, a comprendere meglio le relazioni che intratteniamo con gli altri. Ci aiuta ad accorgerci dei momenti di felicità, ad affrontare le nostre paure con maggior coraggio, a fare scelte che ci somiglino. 

Marina Sozzi si dedica da anni allo studio dei temi della morte e del morire nella nostra cultura. Filosofa e tanatologa, cura il blog Si può dire morte. Ha insegnato Tanatologia all’Università di Torino. Oggi è co-responsabile dell’Ufficio Culturale di Fondazione Faro. Tra i suoi volumi: Reinventare la morte. Introduzione alla Tanatologia (Laterza 2009); Sia fatta la mia volontà. Ripensare la morte per cambiare la vita (Chiarelettere 2014); Non sono il mio tumore. Curarsi il cancro in Italia (Chiarelettere 2019).

E tu cosa ne pensi?

Mandaci le tue riflessioni scrivendoci a carla.belli@cbmitalia.org o via whatsapp al 3470555843.

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Carla Belli
Responsabile Relazione con i Donatori 


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