Reena, Ivan, Zaliya: sono solo alcuni dei beneficiari dei nostri progetti nei Paesi in via di sviluppo. Grazie al nostro lavoro le loro vite sono cambiate e oggi ve le raccontiamo.
Il nostro lavoro al fianco delle persone con disabilità non si ferma, ma arriva nei villaggi più remoti di Africa, Asia e America Latina. Dietro ai progetti realizzati e ai numeri raggiunti ci sono i volti e le storie di bambini, donne e uomini che abbiamo aiutato. Vogliamo raccontarvi di alcuni di loro.
In Nepal Reena è tornata a vedere
Reena ha undici anni e vive in un villaggio remoto in Nepal. Oggi sorride, ma la sua vita non è stata sempre facile. Abbandonata dalla mamma e con un padre alcolizzato, Reena ha vissuto i primi anni nell’indifferenza più totale. La stessa che non le ha permesso di ricevere cure per la cataratta all’occhio destro.
Grazie all’aiuto di una donna del posto, la piccola è stata affidata a una famiglia. Meena, questo il nome della mamma adottiva, ha notato fin da subito che qualcosa nella bambina non andava.
È lei stessa a raccontarcelo:
Io e mio marito notammo una macchia bianca nell’occhio destro di Reena. La sua pupilla era larga. Le chiedemmo allora da quanto tempo avesse quel problema e lei ci rispose da più di un anno.
Meena
La premura dei genitori adottivi e il supporto di un amico di famiglia conducono Reena all’Ospedale Biratnagar, sostenuto da CBM. Qui dopo un’attenta visita, alla piccola viene diagnosticata la cataratta. Dopo poche ore Reena viene operata e tolta la benda torna finalmente a vedere. La vista, come assicurato dai medici, migliorerà nel tempo. Ora l’aspetta la scuola e una nuova vita, insieme alla sua nuova famiglia.
In Bolivia dove Ivan vede nel buio
Alla periferia di Cochabamba, nel cuore della Bolivia, nel centro oculistico di FUNDASIL, sostenuto da CBM attraverso il “Programma di Ipovisione e Difetti Refrattivi”, incontriamo il piccolo Ivan. A soli otto mesi Ivan, affetto da cataratta congenita, ha subito la prima operazione agli occhi. Poco dopo ha cominciato a frequentare il Centro, dove è stato accolto dagli operatori e inserito in un percorso di riabilitazione visiva.
Con lui nella sala d’attesa ci sono papà Marios, anche lui ipovedente, mamma Lourdes, cieca, e la sorellina Rosita. Lei ha solo sette anni, ma per tutta la famiglia è una guida preziosa perché è l’unica a vedere perfettamente. È Rosita ad accompagnare i genitori nel loro lavoro di venditori ambulanti allo stadio; è sempre lei ad accompagnare Ivan al centro oculistico ogni settimana, partecipando alle sedute di riabilitazione con lui.
Ivan la prende per mano e insieme entrano in una stanza buia, costellata di lucine al neon, per giocare insieme. Attraverso l’utilizzo di lampadine di diverso colore e intensità Ivan viene sottoposto dai terapisti a stimoli luminosi diversi, in modo che impari a identificare oggetti e persone, fissarli e seguirne i movimenti. Rosita osserva attentamente le attività e memorizza i giochi e gli esercizi da riproporre al fratellino anche a casa.
Pian piano Ivan sta imparando a interagire con lo spazio e con le persone. La riabilitazione è un percorso lungo e tortuoso, ma fondamentale per lo sviluppo psichico, cognitivo, psicomotorio e socio-affettivo. Ivan dovrà continuarla almeno fino ai sette anni e questo gli consentirà di vedere meglio, essere autonomo e andare a scuola come tutti i bambini della sua età.
L’entusiasmo di Zaliya in Niger
In Niger l’insicurezza alimentare e la malnutrizione rendono la vita delle persone con disabilità ancora più dura. A raccontarcelo è Zaliya, un’allevatrice di capre. La incontriamo nel suo orto, nel distretto di Dongou, insieme a suo padre. Zaliya ha ventitré anni, è sposata e ha due bambine: Naima e Nana.
Nove anni fa, per un’infezione dovuta a una iniezione medica, ha perso la gamba destra. La corsa in ospedale non è valsa a nulla: l’infezione divenuta cancrena ha portato all’amputazione dell’arto. “Da quel momento non ho potuto più prendere l’acqua e la legna per casa” ci dice. Né può farlo suo marito, anche lui con una disabilità motoria.
Zaliya è una delle 130 beneficiarie del progetto “Coltivare la resilienza: agricoltura sostenibile e inclusiva”, avviato nella regione di Zinder nel 2017.
Le mie giornate sono simili tra di loro: dopo la preghiera mattutina, mi prendo cura dei bambini e della casa, cucino per il pranzo, per la cena e accudisco gli animali.
Zaliya
Gli animali di cui ci parla sono le capre, quelle che insieme alle sementi compongono il kit di cui ognuno di loro beneficia. Dell’orto si occupa suo padre: le sue mani si muovono rapidamente tra gli ortaggi, lavoro indispensabile se vuole assicurare cibo alla sua famiglia.
Zaliya e Abdou ci appaiono felici e, da come ci dice lei, lo sono:
Grazie al progetto la nostra vita è cambiata: prima non avevamo nulla, né cibo né soldi. Ora abbiamo un orto e cibo in abbondanza. Mangiamo meglio e di più. Non solo: riusciamo anche a vendere le eccedenze. Quando Naima prima di andare a scuola mi chiede di comprarle un dolce o un panino non devo più doverle dire di no.
Se pensa al futuro, Zaliya è ottimista:
Non potrà che essere migliore. Ora so che posso provvedere a me e alla mia famiglia senza dover chiedere nulla a nessuno.
In Etiopia la lotta al tracoma passa dalle donne
Dal 2014 in Etiopia CBM è attiva nella lotta al tracoma. A essere colpite da questa terribile malattia sono soprattutto le donne. Lo sa bene Anisha, una delle 149 operatrici socio sanitarie formate grazie al progetto:
Fin da piccola ho sempre sognato di diventare medico e quando il governo etiope ha promosso il programma di formazione per diventare health extension worker ho avuto la fortuna di parteciparvi, grazie anche al fatto di conoscere bene il distretto di Wereilu, nella regione di Amhara.
Anisha
Anisha lavora cinque giorni a settimana: tre in clinica e due nelle comunità.
Quando incontro le persone mi rendo conto che molte di loro considerano l’operazione di trichiasi come qualcosa di estremamente pericoloso. Ci vogliono tempo e pazienza per convincerle a farsi operare, a volte anche un anno.
È quanto accaduto con Misikir che ha conosciuto durante uno screening.
Sono io che le ho diagnosticato la trichiasi e suggerito l’operazione. Da allora è passato molto tempo, la paura di Misikir è stata da subito evidente. Eppure non mi sono arresa: ho continuato a dirle che senza l’operazione rischiava di diventare cieca e non avrebbe potuto più prendersi cura della sua famiglia.
Misikir ha trentadue anni, è sposata e ha due figli. Ci racconta che lei e suo marito sono agricoltori. La cura della casa è una delle sue maggiori attività, sebbene da due anni occuparsene non è così facile a causa della trichiasi. Grazie ad Anisha però ha vinto la paura.
L’operazione è molto più semplice di quello che pensavo e la guarigione è immediata. Voglio essere operata, sono sicura che andrà tutto bene.
Misikir
In attesa di quel giorno sta facendo un ottimo lavoro di educazione e sensibilizzazione con la sua famiglia.
Grazie ad Anisha ho imparato bene cosa sia il tracoma e sto cercando di educare i miei figli ad avere una buon igiene personale: non voglio che il mio dolore sia anche il loro.